#morti interiori
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Madre che resta: La ricomposizione di un'anima attraverso la poesia. La profondità della perdita e la rinascita di una madre nelle poesie di Patrizia Baglione. Recensione di Alessandria today
Il libro Madre che resta di Patrizia Baglione, pubblicato il 23 giugno 2024, è un viaggio poetico intimo e toccante attraverso la perdita e la rinascita di una madre.
Il libro Madre che resta di Patrizia Baglione, pubblicato il 23 giugno 2024, è un viaggio poetico intimo e toccante attraverso la perdita e la rinascita di una madre. La raccolta di poesie esplora il devastante processo di separazione da un figlio, che la poetessa descrive come una morte spirituale, un’esperienza che lascia un’impronta profonda e ineludibile. Le parole di Baglione si presentano…
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astra-zioni · 1 year ago
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Avevo accennato qui sopra qualche tempo fa al fatto che quando sto di merda sogno un bambino o una bambina di cui mi devo prendere cura in una situazione di pericolo (il mio bambino interiore e altre supercazzole psicologiche). Oggi pomeriggio ho sognato di essere in ospedale - non ricordo se in veste di medico - e di vedere che le infermiere avevano lasciato a se stessi più bambini ed io diventavo furiosa e li stringevo uno per uno al petto dicendogli che li avrei protetti io. Fantastico! Adesso i miei bambini interiori si sono moltiplicati e a malapena riuscivo a prendermi cura di uno. (Spoiler: gli ultimi sono morti)
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dilebe06 · 10 months ago
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Mafia the Series: Guns & Freaks
Giuro che non è un porno!
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Forse ha ragione @lisia81 quando mi dice che mi guardo drama assurdi e che trovo solo io.
Dopo Lost Tomb ed altri drama senza senso, davvero dovrei cominciare a pensarci sopra. Soprattutto dopo questo Mafia The Series che per certi versi è l'apice del discorso.
Ma d'altronde come potevo perdermi una serie che dal trailer pare una cosa a metà tra Il Padrino - girato tra le fogne - e una puntata di Paperissima e che non c'ha manco una recensione su Mydramalist?! Per non avere nemmeno due righe deve essere una parla nascosta.
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Allora... Io non so nemmeno da cosa cominciare.
Partiamo dalla trama:
La storia parla di Beam, un normale studente universitario . Anche se è debole nei confronti del mondo, dopo la morte misteriosa di suo padre Rachen, vuole diventare un eroe. La sua vita non sarà più la stessa quando scoprirà che suo padre era il leader della banda Nemesis, la più grande organizzazione mafiosa della Thailandia, e Beam, invece di diventare l'eroe dei suoi sogni, dovrà diventare il capo di un'organizzazione terroristica. [mydramalist]
Ok. A differenza di Lost Tomb qui la trama è chiara e comprensibile e la serie cerca di seguirla fino in fondo. Certo, con un approssimazione che rasenta la querela ma intanto ringraziamo tutti gli dei che almeno si siano attenuti alla storia.
Non mentirò, mi interessava la parte del conflitto interiore del protagonista tra il suo sogno e la realtà dei fatti e come sarebbe venuto a patti con il mondo mafioso. Ma ahimè, di introspezione psicologica in questa serie non c'è traccia. [introspezione psicologica AHAHAHAHAHAH]
Il nostro Beam assurge al ruolo di futuro capo mafia senza troppi problemi o drammi interiori. Solo nel finale cercherà di tirarsi indietro prima di scoprire che se lo facesse, dovrebbe dare indietro un botto di soldi alla Mafia. Meglio mafioso e ricco che libero ma povero!
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Ora, c'è da dire una cosa sulla trama. Essa è stata per gran parte imprevedibile. Difficile ipotizzare chi sarebbe spuntato fuori o cosa sarebbe successo. E vorrei davvero dire che questo punto fantastico è frutto di un bel lavoro da parte degli sceneggiatori, capaci di mantenere la tensione e creare una storia improvvisa ed ad alta tensione.
Ma...la storia non si può prevedere semplicemente perché è fatta male: personaggi che appaiono e scompaiono dalla scena come vuole la sceneggiatura, tizi che scappano dall'Università poiché inseguiti da degli assassini e si ritrovano - non si sa come - nella sala da pranzo di uno del Capo Mafia rivali, cameriere robot, un corridoio dentro una casa dove c'è un muro di cactus alla fine che gli blocca la strada... e potrei continuare per ore. Le cose che ho visto...Dio, non posso ancora crederci!
Essendo dei partecipanti alla fiera dell'assurdo, non mi sono quindi stupita quando nel finale, il padre di Beam resuscita dai morti per rivelarci che ha fatto finta di morire per preparare il figlio ad una futura carriera nella malavita. Un finale e una seconda stagione in arrivo che ha pure il sottotitolo di " più pistole e più pazzi". So già cosa aspettarmi. XD
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Io ovviamente mi sono divertita come una pazza. Senza prendere sul serio NULLA di ciò che viene messo a schermo, la trama scorre come un teatrino dell'assurdo che riesce comunque a far capire allo spettatore la progressione degli eventi ed ad arrivare ad un finale sensato. E non è poco. Sì, Lost Tomb sto pensando a te.
Se questa serie per certi versi ricorda quella perla del Tombaroli di Lost Tomb - soprattutto per quanto riguarda la povertà tecnica, registica, ambientale e così via... - si discosta per via della sua comicità: dove Lost Tomb fa involontariamente ridere perché si prende tremendamente sul serio, Mafia The Series fa sorridere perché si prende per il culo da sola. E questo l'ho apprezzato.
Un altra cosa c'è poi da dire: non ho mai trovato una serie con una realizzazione così discontinua. Alcune scene erano ben fatte, belle inquadrature ed anche un minimo di caratterizzazione. Altre invece pareva di essere dentro Paperissima Sprint. Si passa da scene toccanti dove si parla di un amore difficile per via della mafia dove si piange e ci si commuove a momenti dove fanno mangiare il pene di una mucca al protagonista solo per farci fare quattro risate. Questa serie mi ha ubriacata!
Essendo una serie comica sono innumerevoli le gag, le battute a sfondo sessuale (mai trovate così tante dentro una serie), le scene a mo' di caduta sulla buccia di banana, le musichette divertenti, la recitazione esagerata ecc ecc ... pensate ad una cosa assurda e quella ci sarà.
Ricorderò fino alla fine dei miei giorni che ho passato 2 minuti di puntata ad ascoltare Beam ed i suoi amici che parlavano della lunghezza dei loro peni. Così, per ridere.
L'assurdità poi si riscontra anche nei personaggi che attorniano Beam, prima tra tutti Anna. La sicaria migliore del mondo che pare Carmen San Diego e va in giro con la pistola con su scritto "BITCH" ed è decisamente sopra le righe in tutto quello che fa. In realtà Anna e tutti gli altri come Sven o Intenso, mi sono piaciuti e li ho trovati divertenti. I loro bisticci e scenette comiche erano carine e mi hanno strappato spesso una risatina.
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Mi è piaciuto che abbiano creato tutti assieme una piccola famiglia con Beam, pronti a proteggerlo ed aiutarlo a costo di rimetterci la vita. Speriamo che se fanno una seconda stagione, si possa rivedere queste dinamiche "familiari" un po' matte ma divertentissime.
A far compagnia ad Anna nel podio della follia c'è anche Sonya, la figlia della famiglia rivale di Beam. Ho capito che sarebbe stato un personaggio meraviglioso quando gli viene chiesto delle origini di Bunny, la sua bodyguard vestita da coniglietta sexy. Sonya racconta che da piccola era sempre sola, con la compagnia di un coniglietto di peluche. Così durante la notte, espresse il desiderio di avere un amica e la mattina dopo...Bunny era lì. La cosa più bella però è che in tutti questi anni, Bunny non è mai invecchiata.
Siamo nel paranormale? nella prossima stagione vedremo gli alieni?!
Sonya è la regina del dramma, esagerata in tutto che però fa sorridere e quindi l'ho amata parecchio. XD
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Gli altri personaggi sono "quasi" normali anche se i cattivi delle bande rivali avevano lo spessore della carta velina e il carisma di un carratrezzi. Discorso diverso per il padre Lazzaro di Beam che nel finale imbruttisce tutti i cattivi semplicemente facendosi vedere in faccia. Sarà che era interpretato dal Preside di the Gifted, ma solo lui ha saputo essere vagamente intimidatorio. Per essere un drama sulla mafia è tutto dire.
Il gravissimo problema di questa serie si ha con la parte tecnica: l'audio è stato atroce. Alcune volte si sentiva ovattato. In altre, non so il perché, si è deciso di modificare la voce dei personaggi con un modificatore della voce. In altre la musica di spengeva all'improvviso e certe volte ho avuto paura che addirittura partissero le risate registrate.
Il montaggio ha dei tagli spaventosi, scavalcamenti di campo che dovrebbero essere considerati illegali in almeno due terzi dei Paesi del mondo ed in altre, hanno ben pensato di girare una scena da più di 2 minuti, girando attorno ad un tavolo con la telecamera, mentre i personaggi parlano. Il risultato è stato un atroce mal di mare e quel vago senso di nausea che solo drama così ben fatti possono garantirti.
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giro giro tondo...casca il mondo....
Anche i combattimenti sono stati discontinui. Alcuni erano ben girati, con ottime coreografie e scene avvincenti. In questo, il personaggio di Sven svetta su chiunque altro. In altre scazzottate invece, sembrava di vedere due bambini dell'asilo che si menano. In alcune scene scorre sangue come se non ci fosse un domani. In altre i personaggi non hanno un graffio dopo che si sono gonfiati di botte per un buon quarto d'ora. Io boh...
Poi l'ambientazione ed il poco budget mi hanno dato il colpo di grazia. Pensi a combattimenti tra gruppi mafiosi e ti immagini una cosa e la serie ti da quattro stronzi presi al mercato che fanno finta di menarsi a mani nude. Le famiglie mafiose sono composte da 4 persone in croce che paiono più spacciatori che boss di mafia.
Le locations sono o capannoni abbandonati o luoghi pubblici dove non c'è un cazzo di passante manco a pagarlo oro. Sparatorie per strada, inseguimenti con truppe d'assalto in una Facoltà dove ci dovrebbero essere studenti ed invece pare che in Tailandia ci abitino solo i personaggi di sta serie.
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Infine, le storie d'amore. Questa serie è PIENA di love story. In pole position c'è quella di Beam e della sua compagna di corso che però è più un triangolo perché anche Sonya è innamorata di Beam. Che diventa un quadrilatero a metà serie perché anche un ragazzo della classe del lead si scopre innamorato del protagonista. In tutto questo intrallazzo d'amore io però voto Sonya che almeno mi fa ridere.
Poi c'è la storiella tra l'amico di Beam e La Pazza. Sono stati carini da guardare e sono contenta che l'amico alla fine si sia rivelato un bel personaggio coraggioso e leale. E che abbia accettato l'amore e la relazione con la sua compagna di corso superando il fatto che fosse piatta come una tavola. Peccato però che nonostante sia un personaggio presente per gran parte della storia, non compare manco in nessuna pagina del cast di questa serie. Pare che lui non esista proprio.
Poi c'è la relazione unilaterale tra l'altro amico di Beam e Sven che però quest'ultimo è etero ed ha già una ragazza che ha dovuto lasciare per via del suo lavoro per la mafia e la cui storia ci ha regalato uno dei pochi episodi con un minimo di struggimento ed emozioni.
Infine, ma non per importanza, c'è la relazione tra l'hacker ed Anna. Con Intenso che all'ultimo episodio ci rivela che anche lui è sempre stato innamorato della nostra Carmen San Diego, senza però avercelo mai fatto vedere questo grande amore. Eh va bene, gli crediamo sulla fiducia.
Qui la ship diventa più difficile perché ho adorato entrambi i ragazzi. L'hacker è un ragazzo normale, un bravo ragazzo che è giustamente terrorizzato da pistole, sangue e sparatorie. Intenso è un assassino mezzo pazzo che prima ti sgozza e poi si domanda se ha fatto bene.
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Comunque sia, la critica più grave la devo fare al protagonista. Beam in realtà mi è piaciuto ed è stato bravo nel suo ruolo. Interpreta un bravo ragazzo che ama i suoi amici e preferisce discutere più che usare la violenza.
Il problema è che Beam è stato un personaggio troppo passivo ed in balia degli eventi. All'inizio della serie ci poteva pure stare. Ma andando avanti con la storia, doveva prendere consapevolezza e determinazione e soprattutto, essendo il lead, essere lui a muovere la trama. Invece Beam è spettatore come noi, limitandosi a farsi trascinare dalla storia senza un briciolo di presenza. Ed è un peccato.
Speriamo che nella seconda stagione - ma la faranno??!!! - Beam prenda più spazio e ruolo per diventare quel Capo Mafia che pare destinato ad essere. se lo dite voi...
Concludendo: Drama comico perfetto per farsi due risate sapendo che nulla deve essere preso sul serio - manco i personaggi - mettendo in conto che scene serie verranno interrotte da gag comiche spesso basate sul sesso.
Voto: 7.6
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scogito · 3 years ago
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Stati letargici in circolazione che parlano di libertà e offrono il braccio per farsi incatenare.
La povertà non è mai una questione di soldi.
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libero-de-mente · 3 years ago
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MA IL COVID È SEMPRE PIÙ BOH
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Chi ha fatto il vaccino, e si sente un cretino Chi ha fatto una dose e si sente più forte Chi dopo il richiamo, ha il Wi-Fi potenziato Chi rifiuta il vaccino, e si sente un ardito Chi grida al complotto, dal divano in salotto Chi non fa il vaccino gliel’ha detto il cugino Chi teme la delta, chi quella africana Chi trova scontato, essere un vaccinato Na na na na na na na na na na
Ma il covid è sempre più boh Ma il covid è sempre più boh
Chi ha fatto i milioni, per loro siamo cogl*oni Chi piange i morti, chi dice che sono finti Chi fa l’influencer e spara sentenze Chi si raduna in anonimato e chi spiando ha parlato Na na na na na na na na na na
Ma il covid è sempre più boh Il covid è sempre più boh
Chi è diventato un magnete, raccoglie monete Chi ha crisi interiori, chi odia i tamponi Chi dopo il richiamo, prende meglio la radio Chi insulta, chi sbotta, chi non vuol mascherine Chi perde la casa, chi perde il negozio Chi prende assai poco, chi aspetta un ristoro Chi faceva promesse, di potenze di fuoco Chi non vuol essere tracciato, chiede il pass taroccato Poi vien ricattato, ha lasciato ogni suo dato Na na na na na na na na na na
Ma il covid è sempre più boh Il covid è sempre più boh (Ma il covid è sempre più boh)
Chi dice che con due dosi, poi ti inseguono i droni Chi con solo la dose prima, poi vota Italia Viva Chi ascolta il virologo, quello col microfono Chi ascolta il cugino, chi Barbara D’Urso Chi grida al novax, chi grida “è finzione!” Chi ha un green pass, lo scrive sui social Chi reagisce d'istinto, lo commenta insultando Chi ha fatto Johnson e se urina fa schiuma Chi con Pfizer doppia dose, il braccio è dritto da ore Chi ha fatto AstraZeneca, spera di arrivare a sera Chi s’informa su Google, chi su Wikipedia Chi sa chi mette incinta la madre dei positivi Chi si sente braccato e chi invece spiato Chi dorme tranquillo perché vaccinato Chi attende che altri facciano prima da cavie Chi per egoismo ha saltato la fila d’attesa Chi dice che a Bergamo è stata tutta una scena Chi prega il Signore, chi si attacca a un dottore Chi ha prenotato, e poi non è andato Chi lo fa di nascosto, chi invece si fa selfie Na na na na na na na na na na (Ma il covid è sempre più boh oh oh, oh oh, ma il covid è sempre più boh oh oh, oh oh…)
 Musica di Rino Gaetano
Parole di LiberoDeMente
 ps: Chi non legge cantando non è figlio di Maria e quando muore va laggiù, da quell'ometto che si chiama diavoletto. pps si quello in foto, il volto, è il mio. Esticazzi!
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canesenzafissadimora · 3 years ago
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Ti sto chiedendo amami. Ti sto chiedendo arrampicati sulle mie parole verticali, lanciandoti, imparando ad indossare anche il paracadute dei miei silenzi. Ti sto chiedendo amami. Che quando avremo le vertigini faremo attenzione a non guardare giù, per volare ancora e per ridarci le radici, che il posto non è il luogo, il luogo è l’amore ed è in ogni dove. L’ Amore è un luogo vero e proprio che racchiude tutti i nostri altri luoghi interiori, è un modo di abitare la vita. Ed è l’ogni dove fondamentale attorno a cui ruota l’intero viaggio dell’esistenza. Ti sto chiedendo amami. Non restare sulla porta e non lasciarmi sulle scale, affidati all’equilibrio che i tuoi piedi già conoscono, è solo il primo passo ad aver tanta paura. Ti sto chiedendo amami, non vorrai aggrapparti a fughe infinite, indossare museruole emotive per mascherare la voglia di mordere la felicità. Ti sto chiedendo, ascoltami, chi si ama riceve in dono la fortuna dell’ubiquità e potrai sentirmi ovunque. Ti abbraccio e sento l ‘anima come nelle conchiglie, sarai marea. Ti sto chiedendo rompi la monotona armonia delle paralisi planetarie e ricomponila di passi, di presenze, anche da lontano per creare l’infinito, duri pure quel che sia. Trasformami nell’uomo che vedi perché sai che esiste, ha solo bisogno di completare il mosaico di domani con la cheratina dei fili sottilissimi dei tuoi capelli. Ti sto chiedendo inarcami la schiena con le mani, sollevami e mentre attorno tutto dorme tu svegliami e chiedimi: – Vuoi ballare con me in mezzo alla stanza?Sorprendimi non con regali, non con l’Australia, ma con il tatuaggio di un sogno sulla parte sinistra del cuore, un OttoVolante infinito, per poter viaggiare senza bisogno di agenzie di viaggi, di navigatori, di programmi precisi. Essenze e presenze, io, tu e il caos. Non sei venuta a far la coda, sei venuta a percorrermi, senza barriere, senza caselli. Ti sto chiedendo amami, cementa una sedia al centro dell’amore, sediamoci a incastro sull’orlo di un desiderio e se dondola basterà un origami di carta a far da fermo per un volo migliore. Ti sto chiedendo amami, che se per molti è un vanto quel che danno di sé il mio vanto sarà in quel che tu sei e sarai per me. Ti sto dicendo guardati, la tua foto mi sorride e mi sussurra che avresti la faccia di una che potrebbe essere felice, tu non sei mai così bella come quando guardi me. Ti sto dicendo amami e bruciami fino a far diventare il mio incendio cenere, spegnendolo con il tuo corpo, una candela liquida mentre mi lecchi con la mente le delizie del desiderio. Ti sto chiedendo amami, rideremo delle insolazioni, delle insoluzioni dei nostri irrisolti problemi, gremiti, affollati in una piccola zona d’ombra, per ritornare a cibarci del sole. Ti sto chiedendo amami, iniziami al secondo tempo del film della mia vita, antagonista dei miei ciak, dei miei tempi morti e sperpera con me l’impossibile per restare povera di luna, per sverginare gli angeli della perfezione, per smettere le ali e camminare a piedi, sfiniti, sorridenti, con qualche ruga in più, più belli anche per questo. Ti sto chiedendo amami, al parco dei pensieri, con il giornale in mano della condivisione, a passeggiare l’erba della serenità, senza cogliere i fiori, soltanto le occasioni, i sospiri del vento. Senza indossare maschere né di bellezza né di cera, a sfumarci il viso solo di sensazioni e fra i cortocircuiti dei miei errori, elettricista del perdono, illuminami con le tue diversità, senza voler ragione e senza darne, che le carezze sono irragionevoli, sono prose e poesie, mescolate al quadrato. Ti sto chiedendo amami, ti sto chiedendo senza chiederti, perché se mi ami già lo sai e l’emozione è sfrontata ma mai pretenziosa. E allora arrivami nella mia vita precedente a dare precedenza al phatos, a scoprirmi romantico senza farmi ammalare di gelosia, nella protezione e nella dolcezza che sono petali della stessa rosa. Sii la mia rosa. Non ti coglierò.
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qualbuonvento · 3 years ago
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Aria! Aria! L'estate si apre davanti a noi. Dai! Fai le valigie, sali in macchina, Partiamo. Dalla memoria spunta la raucedine di Lucio Battisti: "Sì, viaggiare / Evitando le buche più dure / Senza per questo cadere nelle tue paure...".
[...] l'avventura è nell'aria.
Il viaggio, del resto, è l'esperienza dalla quale nasce il nostro esistere.
Non è l'uomo che fa il viaggio. E il viaggio che fa l'uomo. È la sorpresa, è l'incontro sorprendente [...] la vera conquista del viaggio è l'inaspettato, il non programmato che resetta il passato. Ciò di cui abbiamo bisogno dopo una vita disgraziatamente sospesa non è vedere cose nuove, ma avere nuovi occhi. La vita (e l'arte) sono una questione di visione. Durante questi mesi abbiamo chiuso gli occhi come per guardare delle immagini interiori, abbiamo viaggiato nella testa, abbiamo avuto incubi e certi dormiveglia da sudori freddi. Xanax e Lexotan per chiudere gli occhi davanti a una realtà di morti e solitudine, in preda al desiderio di un bacio.
Aria! Aria! Il viaggio intorno alla mia camera sta per finire.
Roberto D'Agostino
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sophiaepsiche · 3 years ago
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Oltre la morte
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Un amico lettore mi ha scritto chiedendomi di parlare di un tema molto legato alla spiritualità, alla filosofia, nonché alla nostra vita: la morte. Essendo un argomento centrale della spiritualità a tutti i livelli, dobbiamo spaziare il più possibile tra le varie filosofie a nostra disposizione, questo non solo nel tentativo di rendergli giustizia, ma anche per sensibilità verso tutti i differenti approcci a questo delicato argomento.
Quando l’identificazione col corpo e la materia è molto forte, la morte dei cari è certamente una delle più strazianti cause di dolore e il solo pensare alla propria morte è ovviamente motivo d’angoscia e paura. Tendiamo dunque a non pensarci, a ritenerci immortali. La paura latente si presenta solo nei momenti in cui siamo faccia a faccia con la morte, così come il dolore per la morte altrui si scatena solo quando subiamo una perdita effettiva. Ognuno di noi, attraverso la ricerca interiore, filosofica o religiosa, cerca di trovare una chiave di lettura a questo fenomeno naturale ma sconvolgente. Il fatto che in ogni cultura e in ogni tempo troviamo la tendenza a negare o a giustificare in qualche modo il fenomeno della morte non è da sottovalutare, si potrebbe quasi dire che l’immortalità, o il superamento della morte, è lo scopo della spiritualità. A livello teorico ci sono tantissime ‘risposte’ e non possiamo trattarle esaustivamente. Possiamo però identificare tre filoni, con le tre ipotesi più diffuse.
Il corpo muore e nessuno lo nega. Continua qualcosa?
La risposta della spiritualità orientale, quasi nella sua totalità, sia teistica che agnostica, propone il samsara (ciclo di nascite e morti) e il famosissimo modello del karma. Il corpo sottile, composto da mente, vita e volontà, non termina con la morte del corpo ma si reincarna. Questo sistema filosofico è notoriamente improntato sull’importanza della responsabilità personale nella qualità delle vite che verranno vissute nel samsara.
La risposta della spiritualità occidentale religiosa è che continua l’anima personale. L’anima di cui si parla nella religione occidentale non è descritta come mente e volontà ma come ‘spirito’ individuale,  un termine forse ancor più etereo di ‘corpo sottile’. Riflettendo però, dato che il tratto individuale continua, deve comunque avere una sorta di qualità interiore e la parola ‘mentale’ può ben adattarsi, a mio avviso, a descrivere la natura o il contenuto di tale tratto personale. L’anima individuale può corrispondere, più di quanto si creda, quindi al corpo sottile delle filosofie orientali. L’ anima viene chiamata ad un piano d’esistenza celestiale o spirituale. In altre filosofie religiose l’anima può essere chiamata anche ad un piano d’esistenza materiale, come nel caso della resurrezione. Tutte le religioni parlano di un qualche tipo di paradiso o inferno, ossia di un’esistenza più bella e spirituale o più brutta e penosa, anche nei contesti religiosi occidentali si dà dunque molta importanza alle azioni che compiamo, sottolineando che hanno delle conseguenze tangibili.
Una risposta agnostica in occidente sembra non esserci, invece c’è. Io ho tentato di mettere insieme i pezzi del puzzle con le comuni nozioni scientifiche e filosofiche che una persona di solito possiede in occidente, per far capire che la risposta c’è. Non serve per forza studiare filosofia, anche da completi ignoranti, come me, si può arrivare a comprenderla con semplicità. La continuità non è negata dalla scienza, né tantomeno dall’evidenza dei fatti. Non sperimentiamo ogni giorno le conseguenze delle nostre azioni e di quelle dei nostri predecessori nel mondo? Come abbiamo un dna per il corpo fisico, così abbiamo un ‘dna’ mentale e psichico, tra l’altro ben più potente di quello materiale. Lasciamo ai posteri un’eredità immateriale composta dalle qualità interiori e psichiche della nostra evoluzione, esattamente come un lascito materiale e le conseguenze pragmatiche delle nostre azioni. È la semplice legge della causalità a volerlo. È davvero importante che l’agnostico occidentale arrivi a capire e vivere questa realtà, perché le azioni che compie e il suo livello di maturazione mentale hanno conseguenze immense per lui e per tutta l’umanità. Solo comprendendo questo l’agnostico evolve interiormente e spiritualmente, senza bisogno di credere a nulla. (Per approfondimenti su tale modello leggi ‘La comprensione della mente’). L’unica cosa che cambia in questo modello è che l’’eredità’ non è per forza intesa come personale, ma può essere percepita in modo impersonale, evolutivo appunto.
Se le ponderiamo, le tre risposte sono molto più simili di quanto sembri a prima vista. Il karma sostiene la possibilità di vivere altre esperienze positive o negative e contempla un sistema di paradisi e inferni, proprio come in tutte le religioni che credono nell’anima personale. Il religioso non le interpreta quasi mai come ‘reincarnazioni’ in vite future o passate ma il fatto che l’anima continui ad esistere in altre realtà è innegabilmente simile. In fondo se un’anima personale continua a vivere e ad avere esperienze, deve avere una qualche forma di ‘corpo’, anche se celestiale ed etereo.
Il karma è anche molto vicino al sistema evolutivo occidentale che ho tentato di mettere insieme. L’interpretazione diversa riguarda esclusivamente l’identità. È un’anima personale a vivere più vite? O è un dato livello d’evoluzione mentale a prendere altre forme e vite? La differenza sta solo nel sentire il fenomeno come personale o impersonale. Una persona che ricorda vite passate può dedurne che lui, come entità individuale, ha vissuto quel ciclo di trasmigrazioni. Un’altra invece può interpretare quelle vite come il tragitto storico del ‘software’ che ha ereditato. L’evoluzione attraverso tanti ‘hardware’ (corpi fisici) e tante esperienze (vite) è di certo prova di continuità, ma non del fatto che sia personale o meno. Il fenomeno esiste ed è palese, mentre l’interpretazione che gli diamo è un punto di vista. A livello teorico purtroppo risposte definitive non ce ne sono, ci sono solo modelli di pensiero e filosofie. Le verità qui sono tutte ‘relative’.  A questo stadio non possiamo fare altro, non abbiamo prove oltre a quelle che ci provvedono i sensi ogni giorno, le teorie che leggiamo e le percezioni che abbiamo grazie alla nostra intelligenza.
La cosa comune che salta agli occhi in tutte le risposte è però importantissima ed è il fatto che ciò che continua è fortemente influenzato da quanto s’impara nella vita presente. Questo è l’elemento comune a tutte le teorie e non è un caso.  Perché  finché percepiamo noi stessi come materia (grossolana o sottile) siamo soggetti alla legge naturale della causalità e dunque all’inevitabile formarsi di un ‘destino’ autodeterminato inconsciamente (da madre natura oppure da Dio per i credenti). Il fattore comune e centrale è anche la lezione che più urgentemente dobbiamo capire. Si deve prendere coscienza dell’enorme importanza che ha il modo in cui conduciamo la nostra attuale vita e l’inevitabilità delle conseguenze che produce. C’è chi la vede come una sorta di punizione divina e chi come una mera legge di natura, questo non è tanto rilevante quanto il risvegliarci al fatto che siamo qui per imparare ed evolvere.
Un altro elemento comune in questi modelli è che purtroppo nessuno di essi è davvero consolatorio. Sebbene sia fondamentale cominciare a ponderare seriamente la verità di base che esprimono, il ‘credere’ ad una di queste ipotesi solleva solo minimamente dal dolore del lutto e dalla paura della morte. Così come tendono a responsabilizzare molto poco l’essere umano, nonostante vergano tutti alla sua responsabilizzazione. Come sempre, purtroppo, la teoria non aiuta tanto, ma il nostro impegno personale nella ricerca diretta della verità può cambiare tutto.
Solo chi ha comprensione diretta della realtà esposta in quelle ‘nozioni’ sviluppa la responsabilizzazione e contemporaneamente anche una prima accettazione delle dinamiche della vita e della morte. Ancor più forte è l’esperienza diretta del fenomeno stesso della continuità, come si può avere nelle esperienze di pre-morte, di morte e ritorno, le esperienze mistiche, le esperienze di contatto con ciò che chiamiamo l’aldilà o con altre forme di spirito. Esperienze simili danno una certezza ben più profonda, in grado di liberare dalla paura della morte ed accettarla pienamente. Quasi nella totalità dei casi queste esperienze, se genuine, sono un detonatore per il proprio progresso spirituale. Aggiungo però che non sono strettamente necessarie, l’analisi profonda della vita e della propria interiorità può avere lo stesso risultato. La vita stessa è un’esperienza mistica, non serve per forza far esperienza di ‘altro’. Se si riflette molto su ciò che si vive di giorno in giorno si può giungere ad avere una percezione diretta della realtà, che ha lo stesso identico effetto delle esperienze mistiche. Ciò che in occidente chiamiamo illuminazione, il momento di comprensione profonda che inizia a trasformare la percezione che abbiamo di noi stessi e del mondo, avviene spesso con (o non è altro che) un’esperienza di morte. Quasi nessuno lo dice direttamente, forse perché è talmente bella che la parola morte non si addice o forse perché non avrebbe un effetto molto allettante. Sta di fatto che la morte e la spiritualità sono intimamente connesse. ‘Rincarnatevi ora!’ diceva con tutta la sua energia Krishnamurti. Rumi poetava: ‘Se d’amore morirete tutti spirito sarete’. Ma anche chi ha avuto una qualsiasi esperienza di pre-morte o di morte ne descrive la dolcezza e non sarebbe mai voluto tornare indietro, quindi è la nostra concezione della morte ad essere sbagliata, almeno per chi ne ha avuto un assaggio! Un altro fatto da non sottovalutare è che la conoscenza diretta che ne deriva, nonostante sia confinata al singolo individuo e non costituisca una prova per gli altri, è talmente forte da non necessitare di alcuna convalidazione esterna. Ci sono persone libere dalla paura della morte che vivono senza parlare della loro esperienza rivelatrice per tutta la vita, per pudore, per umiltà o per rispetto alla grazia ricevuta. Qui si ha già una spiritualità palpabile e davvero utile alla propria vita, qualsiasi sia l’interpretazione personale dell’accaduto, si superano la paura e l’angoscia legate alla morte, grazie al salto di qualità che la conoscenza diretta rende possibile. Ciò non vuol dire però che si è alla fine del viaggio e chi lo vive in qualche modo lo sente. Come dicevo prima, l’esperienza diretta fa da detonatore al proprio progresso spirituale, è sia segno che motivo di progresso, il che vuol dire anche che non è la fine, semmai è l’inizio della vera spiritualità. Cerco di spiegare il perché.
Le parole ‘mondi’, ‘paradisi’, ‘vite’, ‘esperienze’ ricordano comunque la materia, (anche se più sottile) ed è l’identificazione con la materia a causare il nostro sentirci separati, individui, anime personali. Finché ci interessa la continuità dell’anima individuale non stiamo cercando la libertà assoluta alla quale possiamo aspirare. Il lato incoraggiante è che questa vita, che di etereo ha ben poco, possiede, in realtà, già tutto ciò che serve per realizzare la liberazione. Andiamo più a fondo.
Finché c’è qualcosa da esperire nella dualità, c’è separazione. La separazione è composta dalla triade: ‘io, mondo e Dio (o verità)’, la quale ha sede in un’altra triade basilare: conoscitore, conoscenza, conosciuto. Se l’esperienza o la manifestazione vissuta non porta ad uno scioglimento totale di questa triade si rimane in una specie di ‘materialismo spirituale’, in cui sappiamo dell’immortalità della nostra vera natura e ci sentiamo molto più vicini al divino, ma siamo ancora separati, siamo ancora anime individuali. Solo la realizzazione piena della propria natura arriva a spezzare la triade e a far vivere l’unità della vera sostanza: l’immanifesto nel manifesto, il trascendente nell’immanente, l’Assoluto dietro ad ogni manifestazione. Per far questo dobbiamo indagare il soggetto, conoscere chi sta dietro alla triade: il conoscitore.
Chi parte da agnostico e comincia a conoscere se stesso ha quasi un vantaggio in questo, perché, se ricordate, già dagli inizi mette in dubbio l’elemento dell’io ‘personale’, non solo, ma tende a ritenerlo la causa di tutti i suoi guai. Quello che in altri sistemi viene chiamato ‘anima personale’, ‘corpo sottile’ e viene sentito come qualcosa di positivo, che si brama continui, nella ricerca interiore è chiamato ego ed ha un’accezione tutt’altro che positiva. Spesso la via del ‘conosci te stesso’ o della non dualità è chiamata la ‘via diretta’ proprio per questo. Si fa prima, meno esperienze mistiche, meno giri turistici, meno nomi e forme, meno manifestazioni, meno pratiche (una sola) e soprattutto meno voglia di continuità. Ciò che spinge a cercare la liberazione in questo caso è spesso proprio l’opposto della continuità, è l’insofferenza per il samsara, si comincia a cercare la via d’uscita. Seguendo gli insegnamenti si indaga direttamente l’ego, se ne scopre l’inesistenza, ossia l’inesistenza della separazione e si arriva all’assoluto, alla non dualità (advaita vedanta).
Con ciò non voglio dire che un mistico non ci arrivi, me ne guardo bene! Il mistico arriva all’unione con Dio attraverso la via duale, la via dell’amore duale che scioglie l’individuo in Dio. Santa Teresa descrive dolcemente e cautamente (per via dell’inquisizione) come arriva a questa unione della sua anima con Dio, così come tantissimi altri mistici. Non metto in questione il percorso, perché alla fine arrivare all’unione è solo una questione d’intensità, di quanto lo si desideri. Una volta un devoto di Ramana Maharshi gli chiese: ‘perché non ho ancora raggiunto la realizzazione?’ e Bhagavan Ramana rispose: ‘perché non ne hai ancora avuto abbastanza!’ Che sia attraverso l’amore estatico o attraverso il grande desiderio di liberazione dal samsara, la giusta intensità arriva proprio quando non ci interessa la continuità del nostro piccolo ‘io’ separato, ma si brama solo l’assoluto. Allora si arriva all’unione. Non nel senso che si ‘raggiunge’ come un premio, ma nel senso che finalmente ‘ci si arriva’, si capisce e si riesce a vivere e a manifestare questa verità!
Tale grande realizzazione è possibile solo diventando ‘cibo per Dio’ (Ramana Maharshi). Nessuno può ‘vedere’ l’assoluto, non è una manifestazione; è ciò che c’è dietro a tutto, ed è per questo che se ne può divenire preda proprio andando profondamente dentro di sé. L’illusione dell’ego svanisce rimanendo nella propria fonte, dimorando nella propria vera natura. Così muore  l’illusione della separazione: della materialità, della realtà oggettiva di un io individuale, di un mondo lì fuori e di una conoscenza oggettiva (di oggetti, di materia) di ‘cose’ separate.
Non a caso gli insegnamenti che vergono esclusivamente alla realizzazione offrono un modello di riferimento della percezione del mondo molto diverso dai modelli discussi prima, offerti dalle filosofie e le religioni che ammettono inizialmente questa triade. Il modello offerto dai più grandi saggi è l’irrealtà del mondo. Il mondo come un sogno. Pensateci bene, ciò che è davvero impermanente, transitorio e inafferrabile come un sogno è la materia. Un caro oggi c’è e domani no. Di giorno abbiamo un corpo, di notte un altro. Più studiamo la materia più scompare sotto ai nostri occhi. La materia può davvero essere una realtà fondamentale? Non con queste caratteristiche. Tutti i mistici, i medium, i filosofi, i saggi, i santi e gli yogi ai più alti livelli d’intensità e di serietà lasciano tracce di questa fase di ribaltamento della percezione della ‘realtà’. ‘Il problema è che abbiamo scambiato l’irreale per il reale, dobbiamo abbandonare quest’abitudine’ (Bhagavan Ramana Maharshi).
La continuità non è davvero il punto cruciale, dobbiamo scoprire chi è che continua e identificarci con la nostra vera natura. Stiamo vivendo una fase di ‘crisi d’identità’ nel samsara. L’identificazione con la materia è la causa di tale crisi e dobbiamo imparare a tornare in noi. L’identificazione piena con la nostra vera sostanza, con la coscienza/spirito, elimina ogni dualità, inclusa la dualità di vita e morte. Noi siamo oltre la vita e la morte, dobbiamo riscoprirlo.
‘La parola morte non ha significato’ (J. Krishnamurti).
Nota: Mi rendo ben conto che tutta questa teoria non ha alcun potere consolatorio, soprattutto se si sta vivendo un lutto. Tutte queste parole sembrano quasi un’offesa allo strazio di chi vive un lutto... è molto più utile l’abbraccio di un amico! Tutto suona talmente impersonale da apparire assurdo. Lo so, ci sono passata anch’io e credevo che questa filosofia non avesse alcuna applicabilità nella nostra vita di paure, di cordoglio, di malattie e di morte, invece ne ha! Se s’intraprende davvero il cammino, la differenza è notevole da subito e si fa più importante di giorno in giorno, donando incredibile sollievo nei momenti più critici del samsara. Anche se non arriveremo ad essere totalmente oltre la dualità e la morte, non c’è altro che funzioni così profondamente e così immediatamente e così efficacemente che conoscere davvero di che sostanza siamo fatti.
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cartofolo · 5 years ago
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Morte di una persona cara
La morte di una persona cara, non è mai giustificabile umanamente. Ogni ragionamento, fede, filosofia, spesso naufragano nell'enorme vuoto che sentiamo, e occorre una grande forza per poter dare una ragione a quella perdita. La fede aiuta, la filosofia dà un appoggio e un indirizzo al nostro pensiero, ma solo i nostri movimenti interiori potranno far ritrovare quel nuovo equilibrio, necessario ad accettare e continuare a procedere nel nostro percorso vitale.
Immaginiamo chi muore prematuramente, come un'anima con una propria personalità che procede oltre la nostra dimensione, in mondi che la vedranno continuare a crescere e maturare nel modo migliore per poter ritrovare la sua vera casa e identità spirituale. Siamo noi a provare dolore e solitudine, non lei. Quindi, se dobbiamo piangere o rimpiangere qualcosa, facciamolo per noi stessi e troviamo la forza di superare questo momento di distacco momentaneo da chi sicuramente ritroveremo per completare quello che è lasciato in sospeso.
E' vero che si muore per esistere veramente. Soltanto "l'ultima morte", quella a noi stessi, potrà farci trovare ogni pienezza dell'essere. Però questo va conquistato con le esperienze e con le molte "morti" che quotidianamente siamo costretti ad affrontare. Sono certo che chi si è amato non è lontano da noi né potrà mai allontanarsi veramente, proprio per quel sentimento che segnerà inevitabilmente il ritrovarsi nella pienezza di quello che si è vissuto insieme. Dunque completiamo la nostra strada, e tutto si ricomporrà come mai avremmo immaginato possibile.
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weirdesplinder · 5 years ago
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A discovery of witches
Interessanti novità in arrivo su Sky Italia. Dal 29 gennaio 2020 andrà in onda anche nel nostro paese e in lingua italiana la serie televisiva tratta dai libri di Deborah Harkness, libri pubblicati anche in Italia con discreto successo qualche anno fa.
Il telefilm si intitola come il primo libro della trilogia letteraria da cui è tratto: A DISCOVERY OF WITCHES
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Ho letto i primi due libri della serie (All souls trilogy) ormai diversi anni fa, cinque o sei credo, in lingua originale e ve parlai anche sul blog. I libri poi arrivarono in Italia editi da Piemme nel 2012 ed ebbero un discreto seguito.
Personalmente i primi due libri non mi avevano conquistato del tutto. L’idea alla base era semplice ma geniale: vampiri, streghe, amore proibito, viaggi nel tempo, misteri da risolvere legati a dei libri di magia…. Avevano tutti gli elementi per piacermi davvero, ma li ho trovati pesanti e così non ho mai letto il terzo, e ad oggi ricordo pure molto poco delle trame dei primi due. Il che non è un buon segno.
Avevo impiegato ben 15 giorni per leggere il primo libro A discovery of withches, il che per me che sono molto veloce nel leggere, è quasi un record di lentezza, ma si trattava di un libro di più di 600 pagine, e molto denso.
Sì denso è una parola adatta per descriverlo, denso e ricco. Non si trattava di un urban fantasy ma di un misto di molti generi, dal trattato scientifico, alle fiabe, al testo alchemico o evoluzionista, al romanzo storico, fantasy, mistery, al’urban…..molti generi si intrecciavano in questo libro veramente unico nel suo genere. E io amo i libri diversi da tutti gli altri.
Ricordo di aver pensato che sarebbe stato bello se ne avessero tratto una serie televisiva, in quanto quella avrebbe perso la pesantezza del libro per strada con tutti i pensieri interiori dei protagonisti o i pezxzi di testi storici, e avrebbe reso la storia molto più piacevole e godibile.
E l’hanno creata, solo mantenendo la pesantezza e lentezza dei libri.
Forse sono troppo dura, e il mio giudizio può essere intaccato dal fatto che l’ho vista l’estate scorsa in lingua originale, e l’accento britannico a volte mi è ostico ma.....è lenta. Non c’è altro da dire, forse pesante è un aggettivo troppo forte, ma la serie tv è molto lenta in alcuni punti dove proprio non dovrebbe esserlo, e gli attori non mi hanno conquistato. Questa è la verità.
Ma magari a voi la serie piacerà.
 Intanto qui sotto ve  presento meglio i libri da cui è tratta nel caso voleste leggerli e preparvi al meglio per il telefilm:
1. Il libro della vita e della morte
Titolo originale: A discovery of witches
Trama: L’autrice con questo libro è riuscita a creare qualcosa di nuovo. La base è un romanzo moderno e storico al tempo stesso, qulacosa che può ricordare come atmosfere La bibliteca dei morti, per intenderci. Siamo in una città universitaria inglese e una storica di testi alcheici che frequenta tutti i giorni la  biblioteca dell’università un giorno si ritrova tra le mani un libro alchemico che ne nasconde un altro, e si accorge che il libro è protetto dalla magia. Non ne rimane sorpresa visto che lei stessa è una strega, ma , dal momento che ha scelto di non usare più i suoi poteri e non vuole avere a che fare con al magia, lo ripone e vuole solo dimenticare di averlo visto. Purtroppo non potrà farlo visto che tutti sembrano volere che lei lo richiami poichè si tratta di un testo magico potentissimo che forse racchiude i segreti e le orgini delle tre razze soprannaturali: streghe, vampiri e demoni. E così vampiri, streghe e demoni l’assillano notte e giorno…..lei deve allearsi con un vampiro per tenerli a bada, Matthew un famoso genetista….e finirà con l’nnamorarsi di lui, cosa proibita visto che tra razze supernaturali diverse è proibilto mischiarsi… Ma questa mia sintesi della trama potrebbe trarvi in inganno, questo non è un semplice libro d’amore, anche se lo contiene. Si parla di evoluzionismo, genetica, si attraversano le epoche storiche e si combatte senza esclusione di colpi. A tratti il libro è piuttosto lento e prolissimo visti gli argomenti alti di cui parla e non lo vedo adatto ad un pubblico giovane sinceramente, ma è veramente affascinante. Vi siete mai chiesti in cosa crede un vampiro? E un demone? Si chiedono da dove vengono e dove vanno? E se fosse geneticamente possibile risalire ai loro antenati cosa scopriorebbero? similitudini o differnze? E se la genetica rivelasse loro che stanno per estinguersi, si arrenderbbero all’evoluzione che li vuole vedere scomparire o muterebbero per sopravvivere? Se a questi temi poi si aggiunge la possibilità di vedere il futro e viaggiare nel tempo….capirete anche voi che questo libro contiene veramente di tutto.
2. L’ombra della notte
Titolo originale: Shadow of the night
Trama: Nella biblioteca Bodleiana di Oxford, Diana Bishop, giovane storica e studiosa di alchimia, scopre un misterioso manoscritto: prima di restituire il libro, il tocco della sua mano sulla copertina riaccende in lei la magia che aveva tentato invano di bandire dalla sua vita dopo la morte dei genitori. Diana discende infatti da una nota stirpe di streghe, e non è l'unica a essere fatalmente legata all'Ashmole 782, di cui nel frattempo si sono perse le tracce: demoni, vampiri e streghe ne subiscono il fascino e cercano di decifrarne i contenuti sibillini. Tra questi, l'affascinante professore di genetica Matthew Clairmont, vampiro eternamente giovane. Il libro regola l'esistenza delle creature ultraterrene e nasconde i segreti per scongiurarne l'estinzione. Diana e Matthew si innamorano e si scelgono per la vita secondo il disegno di un destino a loro sconosciuto. Ma la loro unione è bandita dalla legge delle streghe e dei vampiri. Alla ricerca del prezioso volume, i due innamorati si catapultano nel cuore dell'Inghilterra elisabettiana del 1591, alla corte della regina. Li accoglie un esclusivo circolo di personaggi: la misteriosa “Scuola della Notte”, tra cui spiccano il drammaturgo Christopher Marlowe, il poeta George Chapman, l'astronomo e matematico Thomas Harriot. Ma il XVI secolo non è un posto sicuro: in quegli anni di spietata caccia alle streghe e diffuso pregiudizio, l'unione dei due giovani rischia di scatenare un conflitto di proporzioni inimmaginabili.
3. Il bacio delle tenebre
Titolo originale: The book of life
Trama: Quando la giovane studiosa di alchimia Diana Bishop ritrovò nella biblioteca Bodleiana di Oxford un manoscritto rimasto nascosto da secoli, la sua vita cambiò completamente: non solo perché il potere di quel manoscritto le permise di accettare la sua vera natura di strega, ma anche perché grazie a esso conobbe Matthew Clairmont, vampiro, professore di genetica appassionato di Darwin. Da allora, in un viaggio attraverso un mondo popolato di umani ma anche di creature ultraterrene, hanno condiviso un grande amore proibito, e insieme hanno tentato di scoprire i segreti celati nel manoscritto da cui tutto ebbe inizio. Oggi sono tornati: pronti ad affrontare una nuova minaccia, quella dell'estinzione della loro specie. Sempre più incombente, soprattutto ora che alcune pagine del codice Ashmole 782, in cui è contenuto il segreto della loro sopravvivenza, sono scomparse. Tra dimore cariche di segreti, e antiche e misteriose biblioteche, Diana e Matthew continueranno la loro battaglia.    
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nascerannofiori · 6 years ago
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Ci vedremo,
dall’altra parte
dove i fiori sbocciano quando vogliono, senza nessuno che conti quanto tempo ancora manca alla rinascita.
Dall’altra parte,
dove una mano amica è tesa ed ha orecchie, ed una bocca per sorridere,
dove c’è qualcuno con un cuore marcio, in superficie, ma vivo.
Ci vedremo
dove i silenzi non fanno prigionieri e la paura è di casa, dove il diverso è all’ordine del giorno e delle stagioni e non si teme di sbagliare o ferire o di deludere.
Sarà lì, dove ci si siede sul gradino più vicino alla strada a guardare i cestini pieni sui marciapiedi, e
sull’autobus e sui treni si sceglie il posto accanto alla signora con la valigia, che parla della vita che scorre fra le sue rughe.
Ci vedremo,
nei palmi delle mani quando le uniremo per pregare prima di dormire,
nella libertà di scegliere chi essere e cosa amare, tra le foglie ed il vento, tra i nostri dolori millenari, le atrocità delle guerre interiori e di quelle che fanno milioni di morti, nel sangue versato, nelle lacrime trattenute perché si temeva la nostra umana debolezza.
E ci vedremo, infine, dall’altra parte, nel buio più profondo,
due lucciole come lanterne,
a riportare speranza e pace,
all’alba di un giorno nuovo
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pangeanews · 5 years ago
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Dostoevskij nel luogo indicibile, il Cimitero militare germanico della Futa. “Perché l’essere umano è cattivo?”
Proprio perché non riesci a sintetizzarlo in una didascalia, scassa ogni museruola creata ad arte dalla critica letteraria, è insopportabile. Fëdor Dostoevskij non lo puoi leggere, lo soffri, ti arriva addosso facendo un pagliaio del costato, un falò delle beate convenzioni che tengono in piedi la palazzina della tua vita, buona, sana, giusta. “Ma Dostoevskij, come i santi in cerca di salvezza, ascolta senza tregua una voce che gli sussurra: Osa! tenta il deserto, la solitudine. Sarai bestia o Dio. Fra l’altro, nulla è certo anzi tempo. Comincia col rinunciare alla coscienza che pretende di apprendere ogni cosa, e dopo vedrai”, ha scritto Lev Sestov, il grande filosofo russo, l’unico che abbia accolto, esaltandoli, gli aspetti esasperati, impossibili, a morsi in faccia, dell’opera di Dostoevskij. Così, quando leggo che Archivio Zeta – cioè: Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni – ‘festeggia’ vent’anni di attività teatrale in direzione anomala – hanno lavorato su Werner Herzog e Elie Wiesel, compiendo, soprattutto, una originale catabasi nel teatro greco antico – portando Dostoevskij nel Cimitero militare germanico della Futa, l’immane sepolcro, inaugurato 50 anni fa, dove sono accolti oltre 30mila soldati tedeschi morti durante la Seconda guerra, mi dico: è perfetto. Dostoevskij va brandito dove la Storia è una contraddizione permanente, una ferita che ancora sbraccia. Dostoevskij va nei luoghi imperdonabili, è lì, implacabile, dove non c’è più nessuno – lì a distillare l’ultimo grado di uomo dalla tenebra, a confermare che l’ultima parola non è stata ancora pronunciata, che ancora un gesto è da fare e che tutto può rialzarsi. Il lavoro di Archivio Zeta si intitola Pro e contra Dostoevskij ed è in atto al Cimitero militare germanico dal 13 luglio al 18 agosto (qui tutte le informazioni): denunciano di usare materiali tratti da Il sogno di un uomo ridicolo e da I fratelli Karamazov. Sono i testi cardinali, dove FD ci tenta a percorrere le vie estreme – l’assoluto nichilismo, l’indifferenza regnante –, ci induce alla crisi, alla ricapitolazione dei nostri errori, per sfogare nella conversione, radiosa, inaccettabile – non c’è risposta che dia pace. In mezzo, il discorso sull’Occidente – minato dalla tecnica, dal lavoro meccanico, che sottrae l’individuo al creato e al creare – compiuto da FD dopo i viaggi, soprattutto, a Parigi e a Londra (che leggete in Note invernali su impressioni estive). “Ciascuno di noi è colpevole davanti a tutti per tutto, e io più di tutti gli altri”, dice Zosima nei ‘Karamazov’. Ed è questo – la responsabilità verso il prossimo, la comune colpevolezza, la ‘catena’ umana nel crisma del perdono – il tema che ricorre, rincorrendo una ossessione, il punto dolce in cui polverizzare il male, nel lavoro esagerato di Dostoevskij. Da qui, se ne parla. (d.b.)
“Pro e contra Dostoevskij”: alcune fotografie preparatorie. Archivio Zeta è qui: www.archiviozeta.eu. Photo Franco Guardascione
Dostoevskij è materia che brucia. Qual è il punto centrale che avete toccato, il tema determinante?
Il tema dominante è questo: se si va al di là del bene e del male, allora tutto è permesso. C’è un capitolo di Se questo è un uomo di Levi che si intitola Al di qua del bene e del male. Questo è stato il punto di partenza verso Dostoevskij. Il lager è la destinazione finale di un lungo viaggio partito dalla Londra dell’Esposizione Universale. La civiltà occidentale voleva fare quel viaggio e lo ha fatto fino in fondo. Non ci siamo ancora ripresi. Come dice Elie Wiesel il fall out di Hiroshima continua a precipitare su tutte le questioni morali, sociali e politiche. Volevamo fare uno spettacolo sull’indifferenza e sul relativismo morale che circola dappertutto e appunto Dostoevskij è materia ancora incandescente. In esergo alla confessione di Ippolit nell’Idiota c’è la frase Après moi le déluge: è la sintesi del pensiero capitalista che sta distruggendo il mondo. La bellezza non salverà il mondo ma abbiamo il dovere di provare a modificare lo stato attuale delle cose, anche per quell’infinitesima percentuale che ci riguarda.
Nel “Sogno di un uomo ridicolo”, che vedo essere tra i materiali del vostro lavoro, c’è il tema della caduta, per gesti compiuti, sempre, “a fin di bene”. A fin di bene, ci dice FD, si finisce per fare il peggiore dei mali. Che caratura ‘politica’ ha il vostro lavoro?
Tutto il Novecento ha compiuto crimini a fin di bene, Dostoevskij lo aveva capito in anticipo. Nel Sogno poi c’è anche il tema del paradiso perduto e del volo cosmico. È un racconto visionario. Le infinite lapidi del cimitero germanico Futa Pass sono da quindici anni il campo di battaglia delle nostre visioni e la scenografia di senso dei nostri spettacoli. È il coro muto di ogni tragedia che mettiamo in scena. Lì dentro tutto è politico perché ogni nome ci parla dell’aberrazione a cui la politica può condurre l’essere umano. Nello stesso tempo ogni gesto artistico è politico quando interroga il tempo presente. Parise, autore che abbiamo messo in scena, diceva che il nazismo è nella vita quotidiana: dobbiamo prendere seriamente queste parole per capire a che punto siamo arrivati oggi nella civile Europa.
‘Politica’, per altro, è la scelta del luogo in cui realizzate il lavoro: il cimitero germanico della Futa, dove sono sepolti 30mila soldati tedeschi, i vinti, i ‘cattivi’… Raccontatemi perché quel luogo. 
Il Cimitero della Futa è un’opera architettonica paragonabile, quanto a dimensioni e impatto sul paesaggio, al Cretto di Burri. Quando ci siamo entrati la prima volta nel 2002 abbiamo subito capito che poteva essere un teatro, il nostro Teatro di Marte, come lo chiamiamo riferendoci a Karl Kraus. È diventato il nostro “parlatorio” perché ci pone delle domande scomode, radicali, non retoriche, ci interroga in profondità, ci dice da dove veniamo: perché esiste il male, perché l’essere umano è cattivo? Le stesse domande che, con disarmante tragicità, si ponevano Eschilo o Dostoevskij.
All’accusa di questo mondo – nichilista, relativista, dominato dal Baal della tecnica – Dostoevskij risponde con una religiosità cruda. L’uomo ridicolo, infine, si converte, passa dal ritenere che nulla abbia senso all’amore universale. Eppure, egualmente, viene creduto pazzo dal ‘mondo’, dalla ‘società’ del bene perbenista, come se gli estremi del pensare siamo egualmente inaccettabili. Nel vostro lavoro questo slancio verso il ‘folle di Dio’ c’è?
Noi siamo atei ma la riflessione che Dostoevskij conduce a partire dal Sottosuolo, non appena tornato dal primo viaggio in Europa, il suo attacco frontale al Palazzo di Cristallo, dominato appunto dal Baal della tecnica, ci interessa perché è di una attualità sconvolgente. La sua cruda religiosità è parte di questa posizione filosofica estrema. Noi cerchiamo di leggerla nel vasto respiro della sua opera. Siamo affascinati dal sacro, perché lo abbiamo totalmente rimosso dalla nostra vita. Siamo combattuti. Siamo pro e contra Dostoevskij, come dice il titolo dello spettacolo, che è anche il titolo del cuore filosofico de I fratelli Karamazov. Nel nostro lavoro sicuramente c’è uno slancio folle, una fiducia quasi mistica nei confronti della parola poetica e filosofica. Da questo amore per le parole nasce il nostro lavoro teatrale.
Scrivete, al termine della scheda che narra il lavoro: “In quest’epoca di terrore e di follia insensata risaliamo in un volo cosmico fino a Dostoevskij, per andare alle radici della storia della società massificata dove potere, economia e politica si saldano per sfociare nei totalitarismi che abbiamo conosciuto e, forse ancor di più, nell’attuale sistematica distruzione del pianeta”. Che importanza può avere, messa in scena, la parola letteraria? E poi: non vi pare di essere disperatamente esagerati? 
Sì, citavamo Zagrebelsky, che ha scritto il saggio forse più lucido e importante degli ultimi anni sul Grande Inquisitore, Liberi servi. Ci ha fatto da guida nella composizione del testo. Nel nostro spettacolo ci sono sia la scena del Diavolo che nel romanzo avviene molto avanti, sia il Grande Inquisitore. Sono vertici della letteratura e del pensiero filosofico. Ma la parola letteraria di Dostoevskij non è mai compiaciuta, è sempre drammatica, è orale, lui dettava i romanzi interpretando le voci dei personaggi: è il più grande (anche in senso quantitativo) drammaturgo moderno insieme a Ibsen. A volte leggendolo e rileggendolo si ha come l’impressione che abbia scritto un unico grande romanzo ossessivo e che questo grande romanzo altro non sia che una enorme opera teatrale fatta di confessioni, monologhi interiori, scene madri, allucinazioni, dialoghi platonici, fantasticherie. Tutti i suoi materiali sono pronti per essere detti, sono azioni, non descrizioni. Certamente, siamo disperatamente esagerati ed esageratamente disperati, altrimenti non potremmo accostarci a Dostoevskij che è molto più esagerato e disperato di noi.
Potrei concludere, “solo un Dostoevskij ci può salvare”. È così? Da dove giunge questa necessità di avvinghiare Dostoevskij dopo il lavoro di scavo che avete fatto, ad esempio, nel teatro antico?
È così: la sua opera è di una bellezza stordente. Abbiamo in programma di lavorarci per i prossimi anni. Un lungo lavoro di scavo quasi archeologico per disegnare una topografia tragica dispersa nei diversi racconti e romanzi. Dopo molte tragedie greche e dopo Kraus avevamo necessità di un altro monte da scalare e abbiamo pensato che la Russia e quel sottosuolo fossero la meta più giusta per noi.
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liviaserpieri · 6 years ago
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Quinto Pannello: Lidija
«L'uno attraverso l'altro noi trovammo ciascuno se stesso e più che se stesso: io direi, noi trovammo Dio.  L’incontro con lei fu simile a un possente, dionisiaco temporale di  primavera, dopo il quale tutto in me si rinnovò, fiorì, si rinverdì.  E non solo in me per  la  prima  volta  si  rivelò e prese coscienza di sé  il  poeta,  ma anche  in  lei:  tutta la nostra  vita  in  comune,  piena  di  profondi  avvenimenti  interiori,  la  si  potrebbe definire,  senza  esagerazioni,  un  periodo  per  entrambi  di  quasi  ininterrotta  ispira­zione e di  accensione spirituale.»
(Lettera autobiografica)
«Noi siamo due tronchi  arsi  dal fulmine.
Due fiamme  nella foresta  notturna:
Noi  siamo due  meteore che volano nella notte,
Di  un solo destino  la  freccia a due punte.
Noi siamo due cavalli:  una sola  mano
Regge  le  briglie,  un solo sprone li incita;
Due occhi  noi  siamo di  un  unico sguardo.
Di  un solo sogno due ali  frementi.
Noi  siamo la coppia di due ombre dolenti
China sul marmo della tomba divina
.Dove  l'antica Bellezza riposa.
Degli stessi  misteri siamo una bocca a due voci,
Per noi stessi siamo l'unica Sfinge.
Siamo le due braccia di un’unica croce.»
Astri Piloti
http://www.v-ivanov.it/files/4/4_mostra.pdf
Testa di Dioniso (Museo Nazionale, Napoli).
«Dioniso,  agli occhi degli antichi, non era il Dio delle unioni e dei matrimoni selvag­gi,  ma  il  Dio  dei  morti  e  dell'ombra  mortale  e,  offrendosi  egli  stesso  come  vittima della  lacerazione,  e  trascinando con  sé  nella  notte  innumerevoli vittime,  introdusse la morte nell’estasi dei vivi.  E nella morte sorrideva con il sorriso dell’estatico ritor­no,  testimone  divino  dell’indistruttibile  forza  procreatrice.  Egli  era  nunzio  della morte  gioiosa,  che  nascondeva in sé la promessa di un’altra vita là, negli Inferi,  e di rinnovate  estasi  nella  vita  qui,  sulla  terra.  Dio  sofferente,  Dio  estatico:  questi  due volti erano alle origini in lui indistinti e indivisibili. È terribile constatare che soltanto nel momento dell’oscuramento delle sue forze spirituali Nietzsche abbia visto in Dio­niso  il Dio sofferente,  in modo quasi inconscio e insieme profetico...  In una lettera egli si definisce “Dioniso crocefisso”.» (Nietzsche e Dioniso)
«Una volta sul tappeto, fra gli invitati che facevano cerchio Anna Achmatova dimo­strò la sua flessibilità: curvandosi indietro, restando in piedi, doveva prendere con i denti un fiammifero che era stato infilato verticalmente su una scatola appoggiata sul pavimento. Era sottile, alta, vestita con qualche cosa di scuro, lungo, fasciante: evo­cava un essere coperto di squame, serpentino e incredibilmente bello.» (Dai ricordi di Lidija Ivanova)
http://www.v-ivanov.it/files/4/4_malcovati4.pdf
“...questo è un buon rifugio in campo aspro, scosceso eroso ed addolcito d'acqua e vento bastione naturale in prospettiva ariosa” Cronaca montana
“Ma  è  questa  la  ragione  perchè  si  chiamano  lezioni, — osservò  il  Grifone: — perchè  c'è una lesione ogni giorno”
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onnarcissismdisorder · 6 years ago
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Ricordatevi, però: un narcisista sarà sempre un narcisista. Lui o lei cambierà tattica, comportamenti e persino rispolvererà vecchi copioni da recitare, leggerà più libri su come manipolare o comportarsi, modificherà e altererà i comportamenti per soddisfare i propri bisogni e la sua agenda narcisistica, ma una cosa è certa: NON CAMBIERÀ.
Tenete presente che è tutta una facciata, che il loro non è un vero Sé. Non appaiono come sono realmente, ma sono in grado di vendersi efficacemente reinventandosi giorno dopo giorno per cercare di essere ciò che non sono, così da impressionare il pubblico.
I narcisisti non sono autentici o fedeli a loro stessi. Se hanno sempre odiato il colore rosso, e voi confessate di adorarlo, improvvisamente indosseranno una maglietta rossa. Non vogliono mai che il loro schema venga scoperto.
Come possono agire così?
Perché non sono reali. Sono fragili e si rompono sotto pressione, reprimono le loro emozioni. Hanno imparato a non importarsi degli altri e a non essere mai intimamente sinceri.
Sam Vaknin osserva: “I narcisisti sono già morti. Non esiste una persona in quel corpo“. Hanno bisogno dell’energia degli altri per sopravvivere e gonfiare il loro falso senso di sé. Sopravvivono avendo una fonte costante di rifornimento e riuscendo a respingere il loro egoismo interiore attraverso la proiezione su qualcun altro.
Dopodiché rendono i loro problemi i vostri problemi: fanno in modo che gli altri si sentano sempre dispiaciuti per loro; non accettano la responsabilità o le conseguenze delle proprie azioni, il che consente a loro lo spazio di cui hanno bisogno per creare l’illusione di esistere.
Affinché un narcisista vi dia addosso e vi punisca egli cercherà e troverà i vostri punti deboli per scatenare una reazione. Quando reagirete alle costanti svalutazioni, alla negatività, alla tossicità, ai giochi mentali e ai comportamenti malvagi, sentirete una valanga di emozioni e reazioni interne che gli consentiranno di godersi le risorse (anche negative) di cui ha bisogno per sopravvivere.
Melanie Tonia Evans aggiunge “Volete sapere la mia visione della realtà di questo gioco crudele? Quando ci vengono consegnate le nostre ferite su un piatto d’argento, spesso ci voltiamo dall’altra parte e decidiamo di rimanere in pista, perché restare ci porta a non affrontare il messaggio doloroso ricevuto e ci distrae dal duro lavoro di guarire definitivamente le nostre ferite interiori."
L’unico modo in cui un narcisista può esistere è trovando persone con dei punti deboli da calpestare e provando ad usare quelle paure, quelle ferite interiori che ha scoperto, contro di loro.
Se si fornisce energia o cibo al narcisista augurandogli di essere felice con la nuova offerta è probabile che torni da voi o da una ex fornitura… ma lo farà solo per trovare una risposta negativa dall’altra parte.
In sostanza, sono gli altri a sentirsi male per le loro insicurezze attraverso l’accettazione delle loro proiezioni: un modo efficace per sembrare di non essere i legittimi proprietari di certi ferite.
RICORDATEVI: VOI ERAVATE UN BERSAGLIO.
Come potete evitare che ciò accada:
Prendendovi cura di voi stessi;
Lavorando su eventuali paure interne o ferite interiori che potrebbero esserci;
Amandovi e accettando i vostri limiti;
Rimanendo fedeli a voi stessi e non credendo ad eventuali sceneggiati;
Conoscendo il vostro valore e non accontentandosi mai di ricevere meno di quanto meritate;
Non permettendo a persone tossiche di avere il controllo delle vostre emozioni e azioni;
Rimuovendo dalla vostra vita coloro che non rispecchiano le vostre esigenze emotive;
Circondandovi di persone di supporto, specialmente di coloro che sanno cos’è il narcisismo;
Informandovi sul DNP (Disturbo di personalità narcisista) e su disturbi, tratti o caratteristiche similari;
Non mantenendo alcun contatto con questo tipo di personalità.
___________________________________
[1] https://artedisalvarsi.wordpress.com/2018/06/06/il-camaleontismo-dei-narcisisti-e-il-bisogno-della-vostra-energia-vitale-per-il-mantenimento-della-struttura-patologica/
Claudileia Lemes Dias
8 ottobre 2018
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spazioliberoblog · 3 years ago
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Quello che l’Oriente può dare
Quello che l’Oriente può dare
di PAOLO BANCALE ♦ “Religioni” è un termine antico quanto ambiguo:  va dal potere dei sacerdoti egizi a quello dei papi, dal culto dei morti al dio di turno, passando per l’interpretazione di umani stati d’animo e angosce interiori. Il romanziere inglese Julian Barnes nel suo libro “Nulla di cui aver paura” usa la frase di sentore dostoevskijana  o nietzschesciana  “Non credo in Dio, ma mi…
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ilquadernodelgiallo · 4 years ago
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La promessa non riguarda l'anima e lo spirito, ma la carne e la terra. [...] Ma fin dai primi secoli della chiesa, di tutti questi passi e di ciascuno isolatamente venne fatta una lettura allegorica, secondo la quale i beni "materiali" promessi nell'antico Testamento (come se fosse solo "materiale" vivere senza angoscia sulla propria terra e vedere nella pace la propria sposa, i propri figli e i figli dei propri figli!) non sono che il simbolo dei beni spirituali promessi ai beati nell'eternità celeste. Questa interpretazione ellenizzante è prevalsa nella tradizione ecclesiastica sia d'Oriente che d'Occidente, sebbene i Padri apostolici, più vicini alle origini neotestamentarie - e in particolare sant'Ireneo, considerato l'iniziatore della teologia cattolica -, fossero ancora pienamente consapevoli che la redenzione cristiana riguardava non le realtà interiori e spirituali, invisibili, bensì la concretezza dell'esistenza storica e della corporeità. Ma i vangeli, e in genere il nuovo Testamento, sono stati ben presto letti secondo una precomprensione di tipo neoplatonico, e il loro significato è stato trasposto. Se si ritorna ai testi, non si percepisce nessuno iato fra antico e nuovo Testamento, il quale ultimo si pone automaticamente come un capitolo ulteriore, un epilogo del primo. [...] In una società in cui per guarire il cieco Gesù gli mette sugli occhi il fango che impasta con la propria saliva (Gv 9,6), e in cui Gesù ripropone tante e tante volte come immagine della salvezza messianica il banchetto di nozze, proprio come avevano fatto i profeti, nessuno fra coloro che lo ascoltava avrebbe potuto intendere che si trattava di figure allegoriche, che "banchetto" e "nozze", così come i ciechi che vedono e i morti che resuscitano dovevano significare tutt'altro di ciò che da sempre avevano significato. A meno che Gesù non avesse insistentemente detto e spiegato il capovolgimento, cosa che dai vangeli non risulta. Le sue insistenze sono ben altre. Il linguaggio dei sinottici, e specialmente quello di Marco e di Matteo che sono i più antichi, è inconfondibilmente concreto. [...] La centralità della resurrezione, nei vangeli e in tutto il nuovo Testamento, costituisce in realtà, di per sé, una conferma dell'orizzonte della Bibbia ebraica. Implica infatti, come ha ben chiarito Oscar Cullmann nel suo libretto Immortalità dell'anima o resurrezione dei corpo?, che alle origini cristiane non c'è nessuna contrapposizione fra anima e corpo, spirito e materia. Alla carne è promessa la vita senza fine. _______________ La lunga storia successiva, come documentano già gli antichi profeti, il salmista, Giobbe, ha contraddetto questa prospettiva [=correlazione fra fedeltà e felicità]. [...] È allora che - per salvaguardare il senso delle promesse di Dio, e in esso quello della sua giustizia - si incontra per la prima volta in modo esplicito nelle Scritture ebraiche l'attesa della resurrezione dei morti; è scritto nel libro di Daniele che, dopo un tempo finale della storia del mondo, "un tempo d'angoscia" tale come mai ci fu (12, 1), "un grande numero di quelli che dormono nel paese della polvere si sveglieranno, gli uni per la vita eterna, gli altri per l'obbrobrio, per l'orrore eterno" (12, 2). Quella che doveva essere una retribuzione immediata, una giustizia che si attua nella "normale" storia del popolo, passa così attraverso una vicenda catastrofica, la quale mette fine a una storia che si allontana sempre più dalla giustizia di Dio e vede le generazioni dei suoi fedeli inghiottite dalle sofferenze e dalla morte. La realizzazione della giustizia di Dio si profila solo al di là della morte e di un terribile tempo della fine. Eppure, malgrado questo tragico procrastinarsi dei tempi della salvezza, al quale contro ogni desiderio si è costretti via via ad arrendersi per l'evidenza dei fatti, la liberazione, la redenzione, la consolazione restano quelle, e non possono che essere pensate come imminenti. La struttura "greca" del cosmo sostenuto e animato da un logos eterno, e perciò identico nel passato, nel presente e nel futuro, non lascia nessuno spazio per concepire una salvezza delle creature, per loro natura contingenti e destinate quindi alla morte, in definitiva apparenze insignificanti che non coinvolgono in nessun modo la perfetta e immobile essenza divina, riflessa da sempre e per sempre nell'imperturbabile moto circolare delle luminose sfere celesti. Ma se le promesse di Dio sono fatte alla carne, la carne non può che esigerne l'immediato compimento. Il desiderio della carne è per adesso, non per il futuro, la carne è mortale e non può attendere, ha bisogno adesso di pietà e di consolazione, di vedere la giustizia di Dio regnare sulla terra. La salvezza non può che essere per subito. [...] E la fretta, l'urgenza della salvezza, è un motivo che ritorna spesso nella Bibbia ebraica, soprattutto nei Salmi. [...] Ma nel nuovo Testamento la fretta, l'urgere della salvezza, incalza ancora di più violentemente, sebbene risulti invisibile ai teologi, non potendo trovar posto nei loro trattati. [...] Il tempo trascorso dopo la morte e la resurrezione di Gesù senza che nulla avvenisse, costrinse le prime comunità a differirne l'attesa. [...] Comunque, nel nuovo Testamento, l'attesa dell'avvento del regno di giustizia - senza che Gesù patisse la morte, o poco dopo, con la sua resurrezione o con il suo ritorno - resta in sostanza entro i confini temporali della generazione che aveva visto e ascoltato il Cristo lungo le strade della Palestina. [...] Il ritorno di Cristo - la parusia - sarà la spasmodica speranza e la delusione delle prime generazioni cristiane. [...] La vera venuta, qui, è il ritorno. [...] La morte dei primi credenti suscitò uno sconcerto di cui il nuovo Testamento conserva tracce molto nette. [...] Il tempo del mondo, che continua a scorrere, rende praticamente impossibili comportamenti conformi alla perfezione del regno, come li aveva pretesi Gesù: siate perfetti come è perfetto il Padre (Mt 5, 48).  Ovunque nel nuovo Testamento è ripetuto che siamo giunti all'"ultima ora" (1 Gv 2, 18) della storia del mondo. [...] Secondo questo criterio esegetico più che affermato, e del resto ovvio, le cospicue testimonianze che nel nuovo Testamento permangono dell'attesa di una salvezza "materiale" e urgente hanno tanto più significato in quanto, nella loro dolorosa smentita, contraddicono l'affermazione fondamentale della salvezza ormai venuta in Gesù Cristo. Noi veniamo quasi duemila anni dopo. [...] Dinanzi a questo fatto, se non si vuole chiudere gli occhi e far finta di niente, al credente resta una sola scappatoia. Potremmo sempre dire che sta a noi "affrettare" (2 Pt 3,12) la venuta del giorno di Dio "nella santità della condotta e nella pietà" (2 Pt 3, 11), che la nostra conversione è quindi la condizione stessa perché "possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, Gesù" (At 3, 19-20). Dopo duemila anni è una meschina scappatoia, perché se la potenza dell'incarnazione e della passione del Signore non ci ha resi capaci finora, in venti secoli da quando è scoccata "l'ultima ora" del mondo, di convertirci alla santità e alla pietà, è insulso pensare che ne diventiamo capaci adesso che abbiamo addirittura dimenticato il senso delle promesse in cui avevamo creduto. Vogliamo continuare per altri millenni a giocare al gioco di Dio che non ci aiuta perché non lo meritiamo e dell'uomo che non è in grado di meritare nulla senza il suo aiuto? La parabola del giudice iniquo si chiude con un'altra domanda: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà forse la fede sulla terra?" (Lc 18, 8). La risposta non può essere che questa: egli dovrà venire, se verrà, malgrado la nostra mancanza di fede. E non sarà tutta colpa degli uomini se la fede sarà andata perduta. Noi siamo qui soltanto perché siamo figli di questo immane, insostenibile ritardo. _______________ Le promesse procrastinate per millenni sono dunque, di per sé, delle promesse non mantenute, delle promesse fallite. Resterebbero tali anche se dovessero compiersi in questo istante, manterrebbero comunque al loro interno, anche se ne venisse cancellata la consapevolezza, un abisso di delusione, di stanchezza. Il Messia, come ha detto Kafka, sarebbe arrivato "solo un giorno dopo il proprio arrivo", quando l'attesa si è consumata. [...] Il fallimento della salvezza è il fallimento di Dio. Ma la storia di Dio è, fin dalla prima pagina della Bibbia, una storia di sconfitte. Secondo la Kabbalah di Yitzchaq Luria - siamo nel sedicesimo secolo - la creazione del mondo è resa possibile dallo tzimtzum, il "contrarsi" di Dio. Nella sua totalità infinita e perfetta, che non lascia nulla al di fuori di sé, non avrebbe altrimenti potuto trovare posto ciò che è altro da lui. [...] Lo tzimtzum, dice Scholem, non è solo far posto alle cose create, rendere possibile un punto dove non ci sia Dio perché lì ci sia la realtà del mondo, ma significa proprio un autolimitarsi di Dio, che la Kabbalah ha audacemente pensato come modello della condizione esilica del popolo ebraico. Senza questo ripiegamento in se stesso dell'infinito Dio, non potrebbe esserci al di fuori di lui una realtà diversa, e solo questa situazione preserva le cose finite dal perdere nuovamente la loro specificità reimmergendosi nel divino. [...] La creazione, in quanto altro da Dio, comporta dunque almeno la possibilità di opporsi alla volontà di Dio, la possibilità della colpa e della morte. [...] Entra così la morte, che Dio "non ha creato" (Sap 1, 13), ma che, creando il mondo, egli ha reso possibile. [...] S'instaura, nel momento stesso della creazione, una condizione di estrema precarietà. La giustizia di Dio è incompatibile, in realtà, con l'esistenza degli uomini e del mondo. [...] Dio non può dunque esercitare la sua giustizia nel mondo. Si deve stabilire così un meccanismo compensatorio, che si manifesterà sempre più insufficiente e manchevole, ma che nelle Scritture, sia ebraiche sia cristiane, ha un ruolo assolutamente fondamentale, anche se a noi moderni appare assurdo e inconcepibile. Il mondo, essendo ingiusto - e dovendo permanere, se pemane, al cospetto della giustizia divina -, si sostiene su atti sacrificali che hanno anzitutto il potere di espiare ogni volta la colpa, di "compensare" l'ingiustizia, di ripristinare l'equilibrio continuamente rotto. [...] Ma neanche la creazione, con tutti i suoi orrori, è la prima sconfitta di Dio. C'è "qualcosa" di logicamente, se non cronologicamente, antecedente, che consiste, secondo il linguaggio dei filosofi, all'atto di libertà originaria con il quale Dio pone se stesso. Dio, secondo la tradizione ebraica, non è l'Essere, ma piuttosto il go'el, il "vendicatore", il redentore delle ingiustizie dell'essere. [...] Catturato dall'orizzonte dell'essere, il Dio biblico acquista le connotazioni, mitologiche appunto, dell'assoluta immutabilità, dell'infinità, dell'eternità, dell'onnipotenza, che la Scrittura non afferma, almeno non in modo diretto ed esplicito. Scholem ha notato che la concezione biblica di un Dio vivente non è compatibile con il principio dell'immutabilità di Dio. Un altro pensatore ebreo contemporaneo, Hans Jonas, usa l'immagine di un Dio diveniente, un Dio cioè che diviene nel tempo anziché possedere un essere completo, sempre identico a se stesso, nell'eternità. [...] Secondo Jonas, se Dio è buono e comprensibile (nel senso in cui ne parla la Bibbia) allora non può essere onnipotente; se è onnipotente e buono insieme, non è comprensibile (soprattutto, non è comprensibile dopo Auschwitz). I tre attributi non possono insomma stare insieme: Dio è buono solo se non è onnipotente, unicamente a questa condizione possiamo affermare, nonostante l'esistenza del male nel mondo, che Dio è comprensibile e buono. L'attributo dell'onnipotenza deve dunque sparire. D'altra parte, se nessuna onnipotenza si è mai data, se Dio non è mai stato e mai sarà onnipotente, sembra disfarsi il senso stesso del Dio unico: qualcosa o qualcuno, allora, lo limitava o lo limita fin dall'origine, e forse a questo qualcosa o qualcuno dovremmo allora attribuire il nome di "Dio". Jonas pensa che Dio ha scelto di affidarsi all'avventura dello spazio e del tempo, e ha rinunciato alla propria divinità per recuperarla alla fine. [...] Luigi Pareyson, sulle orme di Shelling, ha parlato di un "Dio prima di Dio", per indicare che c'è un atto di libera volontà originario nel quale Dio pone se stesso. Non è, quella di Dio, la libertà di scegliere fra due alternative, ma una libertà che proprio nel darsi pone l'alternativa in quanto tale. Ponendo se stesso, Dio pone, insieme, la scelta fra bene e male, e, in quel medesimo atto, sceglie il bene: il male è così, da sempre, in lui, ma in lui è vinto, soggiogato, "superato". Proprio per questo il male è una possibilità che si rende poi disponibile alle scelte di ogni uomo. Le Scritture offrono invece, secondo me, un quadro diverso da questo, in cui la scelta originaria di Dio non è il bene; e Dio stesso, in definitiva, non mi pare troppo diverso dall'essere, se la scelta, da sempre, del proprio essere Dio, della propria vittoria sul male, in una parola della propria onnipotenza è necessariamente destinata [...] a trionfare, imponendo alla fine il castigo degli empi. Dio è allora nell'eternità, e nell'eternità, che è il luogo della verità, già da sempre trionfa, sebbene gli occhi di chi vive nel tempo non possano vederlo. [...] In questo appare un singolare modo di argomentare specialmente ebraico, che troviamo espresso in tanti luoghi, e ancora in Benjamin, per il quale il tempo scorre dal futuro, che sta alle nostre spalle e non vediamo, verso il passato, che abbiamo perciò davanti ai nostri occhi. Quello che il nostro "greco" orientamento protologico vede all'origine sta così, escatologicamente, nel futuro, che, dice ancora Benjamin, darà un senso alla vicenda del passato.  Tutto questo affannoso discorso più o meno mitologico tenta di dire l'intima dimensione di debolezza, di finitezza, di limite, di sofferenza nella quale ci è rivelato, e ci è dato in quel limite comprendere, Dio [...]. Il Dio che sceglie la debolezza, ciò che non è nei confronti di ciò che è, è un Dio separato da se stesso, lacerato nei confronti di ciò che costituisce la pienezza della propria divinità: e questa originaria lacerazione di Dio, che solo alla fine conquisterà il trono della sua potenza e della sua gloria, è il "mistero" (ossia, nel linguaggio del nuovo Testamento, la verità svelata e rivelata, nell'attesa del suo perfetto compimento escatologico) della Trinità divina. [...] E, mentre l'indice addita il futuro sperato, lo addita dall'esperienza di un Dio assente dal mondo, un Dio che deve misteriosamente pervenire alla propria divinità attraverso la lacerazione e la sconfitta. _______________ Ciò che accade non è leggibile come il dispiegarsi di una divina provvidenza che regge il mondo, come una divina pedagogia che fa crescere gli uomini e li attrae a sé. Né si spiega negando l'esistenza di Dio, ipotesi, del resto, non più facilmente sostenibile di quella contraria (i filosofi, da ultimo Heidegger, si trovano comunque di fronte all'impossibile domanda: "Perché l'essere e non piuttosto il nulla?"). Per chi prende sul serio il male, per chi pensa quindi che rispondere alla vita e alla morte che ci interpellano negli altri e in noi stessi non vuol dire rispondere come se ci trovassimo dinanzi a un rebus o a una sciarada, cercando cioè il gioco di parole che "risolve", che "funziona", le cose appaiono meno insensate se si osa sperare che ciò che "accade" - in cielo, in terra, fra gli uomini - procede da Dio, ma da un Dio che non ha il dominio assoluto su ciò che ha creato. [...] Gli sconfitti sono dalla parte di Dio, la parte di Dio è la sconfitta. Dinanzi all'infelicità dei poveri, dei cuori spezzati, viene meno, in Dio, la stessa giustizia, e avanza in suo luogo la misericordia. Il povero, l'infelice, può essere spinto dalla sua povertà e infelicità a cercare in Dio il salvatore, a osservare la sua legge. Ma Dio ha pietà di lui e lo vuole salvare non perché il povero sia giusto, ma proprio perché è povero e infelice. [...] Proprio in questo salvare non quelli che compiono opere giuste, ma quelli che suscitano pietà, Dio subisce però un'ulteriore sconfitta. In un racconto ebraico tradizionale, Dio, dopo aver creato uno dopo l'altro numerosi mondi secondo la "misura della giustizia", ed essendo stato perciò costretto a distruggerli, decise infine di creare un mondo secondo la "misura della misericordia": ed è questo che conosciamo, in cui il male, venendo tollerato, cresce e dilaga. Passando dalla giustizia - per la quale l'uomo, entrato nel patto di alleanza con Dio, viene in qualche modo sollevato all'altezza del contraente divino - alla misericordia, Dio "si accontenta" dell'uomo così com'è, che non può non commettere il male (Ger 13, 23), e promette di dargli per pietà quello che non potrebbe conseguire secondo giustizia. Sebbene anche nel perdono ci sia una gioia, il perdono è dunque una delusione, una sconfitta di Dio. Nell'incarnazione, passione e morte di Gesù Cristo, la più terribilmente inflessibile giustizia e la più arrendevole misericordia si confondono, non hanno più confini. Il Padre fa cadere sul Figlio, il perfetto innocente, tutto il peso della sua giustizia. [...] Per questo, in questo, nel fatto cioè che è lui a subire il castigo da noi meritato, noi veniamo perdonati. In questo terribile modo si congiungono, in Gesù Cristo, la giustizia e la misericordia di Dio. [...] La Lettera agli Ebrei parla del sacrificio perfetto in cui la vittima, il sacrificatore e colui al quale si offre il sacrificio coincidono, sono l'unico Dio. La logica sacrificale è spinta al di là dei suoi confini, coinvolge totalmente Dio, e perviene all'assurdo: il sacrificio perfetto è anche il sacrificio perfettamente assurdo. [...] Alla croce è stato appeso e sulla croce è morto Dio, diventato peccato e maledizione, e si può solo sperare che la morte di Dio sia più sapiente e più forte della vita degli uomini. [...] Un vecchio gesuita della Pontifica Università Gregoriana, Xavier Tilliette, dopo aver raccolto autorevoli consensi cattolici, ha concluso alcuni ani fa, in un suo scritto intitolato Le cri de la croix, che quel grido è "la pura espressione del gorgo. Dio entra nel terrore e nel freddo della morte, subisce la caduta vertiginosa nel tartaro profondo, è la preda dell'angelo dell'abisso... Dio è morto, quale 'grave parola', dice Hegel. Ha conosciuto le angosce della morte". La "discesa agli inferi" (Ef 4, 9; 1 Pt 3, 19), che è stata sempre rappresentata tradizionalmente come una trionfale vittoria, prima di essere del tutto dimenticata, appare l'esito dello sprofondamento e dell'annichilimento di Dio crocifisso. _______________ L'argomento decisivo per credere o non credere nella resurrezione di Gesù Cristo è, secondo Paolo, la resurrezione dei morti: "Se non c'è resurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato. Ma se Cristo non è risuscitato, allora il nostro annuncio è vano, vana anche la nostra fede. [...] Allora anche quelli che sono morti in Cristo sono periti. Se è per questa vita soltanto che noi abbiamo messo la nostra speranza in Cristo, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini" (1 Cor 15, 13-19). [...] Ma se i morti non risusciteranno, allora non ha senso la resurrezione di Cristo, giacché la resurrezione di Cristo ha senso solo se è la primizia della resurrezione dei morti.  Ebbene, dopo duemila anni i morti non sono risuscitati, e lo spazio per la fede è mostruosamente diminuito. [...] Già le prime comunità cristiane erano costrette, dinanzi ai primi martiri, a pensare che qualcosa mancasse al perfetto sacrificio redentore di Cristo. [...] Quando tutto sembra compiuto nel perfetto sacrificio di Cristo, tutto esige ancora sangue. Il numero dei martiri, dopo venti secoli (un tempo più lungo di quello che va da Abramo a Gesù), non si è evidentemente ancora completato, sebbene l'Apocalisse, l'ultimo libro della rivelazione biblica, si concluda insistendo sulla promessa che "il tempo è prossimo" (22, 10), che il ritorno di Cristo "è prossimo" (22, 7; 22, 12; 22, 20). Se a coloro che conservano la fede a prezzo del martirio - perché la fede implica comunque, nella sequela di Cristo, un non metaforico martirio (Mt 10, 38; 2 Tm 4, 6) - è ancora promessa una salvezza solo al di là della morte, e se lo scacco del crocifisso Dio di tenerezza e di pietà è in ciò palese, un altro scacco, parallelo a questo, patirà Dio se non tutti saranno salvati. [...] Se ci fosse anche un solo dannato, o si dovrebbe negare l'intenzione salvifica di Dio (Tm 2, 11), o si dovrebbe inevitabilmente concludere che tale intenzione, fondamentale per la comprensione del Dio che si rivela agli uomini come salvatore, non viene realizzata, fallisce. Qui il fallimento di Dio non si verificherebbe soltanto nella storia, ma anche nell'"eternità". Se c'è l'inferno, allora Dio non può salvare le sue creature: la centesima pecora, per la quale il pastore è disposto ad abbandonare nel deserto le altre novantanove, e a dare la propria vita, non si può salvare. E la dannazione, non importa se di molte o di poche creature, aprirà nella giustizia di Dio una non più sanabile contraddizione, perché ci sarà comunque, per coloro che non si salveranno - e visto che nessun uomo è esente dalla sofferenza nella sua vita -, un "residuo" di "dolore inutile", senza consolazione e verosimilmente senza frutto. [...] Se è così, allora il peccato imperdonabile, quello che già Gesù aveva chiamato "la bestemmia contro lo Spirito" (Mt 12, 31), per il quale non si può nemmeno pregare (1 Gv 5, 16), è in definitiva solo quello che è reso possibile proprio dalla salvezza portata da Cristo. Lo aveva detto Gesù: "Se non fossi venuto, se non avessi parlato, essi non avrebbero peccato; ma adesso non hanno scusa al loro peccato" (Gv 15, 22). La condizione di coloro che si ritengono già salvati in Gesù Cristo, ma in realtà non credono più in ciò che egli ha promesso, e non l'attendono, è molto più radicalmente negativa di quella di coloro che si sentivano salvati dall'osservanza della Legge, la Legge in cui Paolo vedeva ciò che inchioda al peccato e alla morte (Rm 5, 13 e 7, 7-10). La condizione del mondo dopo Cristo - come la rivela e la profetizza l'Apocalisse, che ha ormai di fronte lo scenario delle persecuzioni e delle seduzioni - è l'anticristicità, la contraffazione (e cioè il più profondo capovolgimento) dell'intenzione salvifica di Dio. [...] Come già nella croce, così nell'apocalisse la vittoria di Dio si distingue appena dalla sconfitta, e questo accade perché la sua scelta originaria è stata la scelta di ciò che non è nei confronti di ciò che è, quella cioè di abbandonarsi alla debolezza e alla possibilità della morte. "La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12, 9) dice il Signore. Quella di Dio non è una scelta fatta in base alla previsione dei suoi effetti, perché allora ogni conseguenza, ogni esito sarebbe voluto, sarebbe dunque un'affermazione della sua volontà, di se stesso, di ciò che è nei confronti di ciò che non è, della forza nei confronti della debolezza; è invece uno scegliere senza prefigurarsi le conseguenze della scelta, è la libera assunzione di un rischio totale. Come dice Neher nel solco della tradizione ebraica, l'opera di Dio "è scaturita da un'impreparazione radicale", "è una improvvisazione". [...] Il diluvio diventa così profezia dell'apocalisse: Dio, nel suo grande giorno, riuscirà a salvare solo un piccolo resto, un resto del resto delle sue creature, e forse anche soltanto un piccolo resto di se stesso. Questo, alla fine, è diventato il buon annuncio portato da Gesù Cristo, l'evangelo (Ap 10, 7). [...] Il giorno del compimento della salvezza promessa è il giorno in cui "tutta la terra sarà divorata", sterminati "tutti gli abitanti della terra" (Sof 1, 18). Questo è il giorno che gli uomini, e Dio (Rm 8, 26-27), dovrebbero desiderare e invocare. L'orrore come estrema, unica possibilità di salvezza. Un'invocazione necessaria e impossibile insieme. _______________ Agostino perverrà ad elaborare la sua allucinante teologia dell'umanità come massa damnationis, che Dio avrebbe creato per trarne, secondo un'inscrutabile predestinazione ab aeterno, alcune anime destinate a colmare i vuoti aperti nelle schiere angeliche dalla ribellione luciferina. Ogni uomo che nasce è destinato alla dannazione eterna, e solo il battesimo nella morte e resurrezione di Cristo può strapparlo a questo destino, senza alcun rapporto con i suoi meriti e le sue colpe: creature appena nate saranno dannate per sempre. Le radici del Medioevo sono in Agostino. Si è compiuto così un completo capovolgimento di quella che era stata l'originaria istanza ebraico-cristiana. L'incombere della colpa, del peccato, del castigo e della dannazione eterna finisce per prendere il posto dell'alleanza di Dio con l'uomo, della promessa di vita, di pace, di gioia. [...] Solo la fede può essere consapevole del carattere particolare di ogni esperienza, a cominciare proprio da se stessa, in quanto sa di affidarsi ciecamente a un evento di cui ha avuto notizia: la promessa di salvezza.  Che tutta la storia e tutte le cose abbiano senso solo all'interno di questo unico evento è un'affermazione estremamente rischiosa, ma è un rischio insensato solo per chi presume di possedere i criteri di verità che garantiscono l'affermazione contraria, erigendola a conoscenza evidente, inevitabile, necessaria. [...] La fede cristiana, per quanto sconfitta, e anzi proprio perché sconfitta, ha ancora quel briciolo di forza residuale che rende possibile una lettura della storia di sconfitte e delusioni alla quale apparteniamo. [...] Guardato dal punto di vista della fede (è impossibile, del resto, guardare alcunché se non da un punto di vista particolare), il mondo moderno si rivela come la conseguenza, il riflesso della sconfitta di Dio nella storia. [...] La novità del moderno è la contraffazione della novità annunciata da Dio come salvezza (Ap 21, 5), si dà solo a partire da quella, si dà solo come falsificazione e menzogna. La rinascita del mondo come nuovo, come moderno, e come salvifico attraverso il progresso della storia, lo sviluppo delle scienze e della tecnica, la rivoluzione sociale, è una pseudo-resurrezione; la modernità è lo pseudo-Cristo, l'Anticristo. La sua grandezza, nei confronti di tutto ciò che l'ha preceduto, sta in questo. La sua erroneità, la sua malignità, non sta in nulla di etico, ma nel suo essere scimmia di Dio, nel tentare l'imitazione della potenza salvifica di Dio con strumenti soltanto umani. [...] E per noi infatti non c'è più il peccato, non c'è più il male. La pseudo-redenzione anticristica ha operato lo svuotamento magico del peccato, non è più possibile prendere sul serio il male. Ciò che permane come indesiderabile, come doloroso, ciò che riesce ancora ad essere sentito come tale (e tanto più intensamente, allora, in quanto è divenuto incomprensibile), viene pensato come una sopravvivenza in via di estinzione, un residuo del vecchio tempo. [...] L'avanzamento della tecnica è quello che ci salva, la fede nella tecnica è la fede nell'Anticristo, non perché la tecnica sia impotente a salvarci e cattiva, ma proprio perché è l'unica salvezza in cui si possa ancora con qualche ragionevolezza sperare, proprio perché è buona, perché ci aiuta. La sua unicità, che ci fa ritenere lecito e necessario imporla a tutto il mondo, la rivela come l'ultima forma, definitivamente, anticristica, assunta dal monoteismo, e anch'essa svuotata, ormai, di ogni originaria spinta redentiva. Il battesimo non si può più imporre a tutti, la tecnica sì, con le vaccinazioni, la televisione, l'automobile. Un altro segno impressionante di anticristicità si svela nella consumazione, nella distruzione della parola. [...] E di conseguenza la parola degli uomini ha perso via via nella storia la sua forza. Sebbene i tentativi dei poeti l'abbiano fatta ancora apparire, solo apparire, vivente, la parola è finita, è svuotata. Dalla parola creatrice si è pervenuti, dicono Benjamin e Scholem, alla parola concepita come pura convenzione, senza alcun rapporto con la realtà, morta. Su questo svuotamento della parola, che non riesce più ad esprimere né a comunicare nulla, che si moltiplica a dismisura per effetto della sua stessa inconsistenza, che è ormai solo una strumento dominato artificialmente dai poteri mondani, dalle "potenze" di cui parlava Paolo (Ef 1, 21), ha posto un sigillo il suicidio di Paul Celan, il poeta ebreo che si è gettato nella Senna perché, nel mondo dopo Auschwitz, le parole non significano più, la loro ambiguità e la loro falsificabilità sono infinite. _______________ Ma se l'ultima istanza di Dio lo spinge a combattere, a fare la guerra, e la guerra decisiva, allora vuol dire che nessun esito è già prestabilito, che la signoria di Dio sul mondo e la sua stessa divinità non sono garantite da nulla. [...] Ci sembra ferrea la logica dell'essere - che necessariamente o è o non è - quando l'applichiamo a Dio presumendo, di fatto, di poterlo incastrare nell'alternativa dell'esserci o del non esserci. Che Dio sia o che Dio non sia, è un problema che, per il fatto stesso che Dio debba comunque stare all'interno di questa alternativa che noi poniamo, considerato risolto. E le due soluzioni, apparentemente antitetiche, sono in definitiva identiche, in quanto la domanda stessa viene abolita. Se infatti diciamo che Dio c'è, diciamo che le cose cono in ultima analisi come lui le ha volute e decise, e cioè che sono come sono perché devono essere tali; se diciamo che non c'è nessun Dio, diciamo pressappoco la stessa cosa: non c'è nessun altro modo in cui le cose debbano o possano essere, le cose, insomma, sono così come devono essere. Ma se invece Dio è coinvolto, come è scritto, nella guerra, allora la sua vittoria o la sua sconfitta, il suo salire sul trono del suo regno o il suo non salirci mai più, in definitiva anche l'esserci o il non esserci di Dio, tutto ha senso o non ha senso solo nell'esito della lotta. Dio è la salvezza di Dio, non c'è nessun Dio separato dalla sua e nostra salvezza. _______________ Ma se Dio sarà sconfitto? Se Dio non salverà mai più? Se i morti non risusciteranno? Se le ingiustizie e le sofferenze continueranno per sempre? Cose come queste può la fede pensarle? È ancora fede quella che si vede precipitare verso un esito più catastrofico, per la fede stessa, di qualunque catastrofe? O non è semplicemente l'abbandono, la perdita della fede? [...] La fede può sentire che Dio sta precipitando verso questo destino, e resta ancora tale perché ha ancora la forza di imporre un senso al mondo, di svelare come puro orrore ciò che, al di fuori della fede, non può che essere l'ovviamente accettabile per definizione. [...] L'esperienza dell'incombere del rischio supremo che Dio non salvi, e che sia quindi definitivamente sconfitto, era già contenuta nell'esperienza dell'ebreo biblico, perché affidarsi a una promessa di salvezza significa sospendere la propria vita su un abisso. L'ebreo biblico, che attende tutto dalla fedeltà di Dio al patto che ha sottoscritto con il suo popolo, e vede che di fatto egli non rende giustizia e non salva, è già stretto nella nostra stessa morsa. [...] Se, come dice Benjamin, il senso delle cose sta nel futuro messianico, se solo da quel futuro prendono luce e consistenza, rimanendo fino ad allora precarie e informi, sospese sull'abisso, allora la mancata venuta del regno di Dio implica la perdita totale di ogni senso. La fede guarda da una fine che potrebbe non venire. Tutto potrebbe continuare indifferentemente o indefinitamente così come lo conosciamo, e procedere nell'oblio di Dio, nell'allontanamento da colui che ha creato e sostiene tutte le cose, verso la consumazione di ogni aspettativa, avanzando in uno spazio dove il permanere degli oggetti e la loro dissoluzione, l'atto di torturare un bambino o quello di accudirlo amorevolmente, diventano sempre più equivalenti e indistinguibili. [...] Ma nella fede, finché la fede può ancora sostenersi, c'è senso, non c'è indifferenza rispetto alla sofferenza e alla gioia, alla morte e alla vita. Mentre, per chi pensa le cose in riferimento all'essere e al suo logos eterno, ciò che è stato, se può cessare di essere, è perciò destituito di vera realtà, è pura contingenza, apparenza; per la fede, finché la fede sussiste, la tenerezza, la pietà, la speranza della salvezza, anche se fossero destinate al più radicale scacco, sono piene di senso. [...] Ma anche la fede, come Cristo, alla fine muore crocifissa nella storia del mondo. Eppure, morendo - e facendo in questa morte l'esperienza dell'incombente sconfitta di Dio -, agonizzando nella consapevolezza del definitivo orrore che la sovrasta, essa fa la sua invocazione più potente, la più vicina, la più simile al limite quasi dell'identificazione, a quella di Gesù Cristo. [...] L'annunciato cambiamento finale del nome di Dio adombra un cambiamento profondo che deve ancora compiersi in lui. Come cambia attraverso gli anni ciascuno di noi, che siamo fatti a sua immagine e somiglianza, così cambia Dio: nell'orizzonte della rivelazione biblica l'éschaton non è il pròton, non si perviene allo stesso punto dal quale si era partiti, non si chiude nessun circolo. Prendendo la carne umana di Gesù Nazareno, Dio non è più identico a ciò che era prima. Soffrire e morire sulla croce ha lasciato in lui una traccia incancellabile. Le sofferenze l'hanno "reso perfetto" (Eb 2, 10), di quella perfezione che non appartiene all'essere. I tre giorni nel sepolcro non sono una parentesi che si richiude perché tutto in Dio ritorni com'era prima. Se si pensa questo, non si prende sul serio la Croce. [...] Mentre Dio è "sconfitto", "sconficcato", lasciato cadere dalla croce come un inutile brandello e dimenticato, noi con la nostra fede saliamo sulla croce, combattiamo l'ultima lotta, l'agonia, gridiamo: "Eli, Eli, lema sabactani?". Così - questo chiediamo nella nostra supplica - si compirà ciò che ancora manca alla passione di Cristo (Col 1, 24) e avverrà il supremo capovolgimento. Il nostro sacrificio infonderà vita, resusciterà Dio. Dio che si è offerto per noi, che aspetta da noi la salvezza, è un Dio che dovremmo perfettamente amare, ma ci ha reso troppo stanchi, delusi, infelici per poterlo fare.
Sergio Quinzio, La sconfitta di Dio
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